Proprio da questa concezione molti studiosi cominciano a dare la loro definizione di gioco:
- Rubin, Fein e Vandemberg nel loro manuale del 1983 propongono una definizione di gioco basata su tre caratteri distintivi: il gioco inteso come "disposizione psicologica" caratterizzata da una motivazione intrinseca (c'è un piacere gratuito nel giocare), "priorità dei mezzi sul fine" (il bimbo si focalizza di più sulla fase preparatoria piuttosto che in quella attuativa del gioco), "dominanza del soggetto rispetto alla realtà esterna" (nel gioco si crea un clima di sicurezza, esplorazione e fantasia), "non letteralità degli oggetti e delle situazioni"( permette perciò l'esplorazione di nuovi significati), "libertà dai vincoli" (s'incentiva così la negoziazione, la mediazione di significati) e si percepisce sicuramente un "coinvolgimento attivo" dei partecipanti. Inoltre nel gioco è molto importante contesto che deve diventare un "setting educativo" con oggetti che attirino l'attenzione, un'atmosfera amichevole, adulti non intrusivi. Infine l'attività ludica è anche un "insieme di comportamenti osservabili" in cui c'è una sequenza evolutiva e continua tra attività esplorativa e ludica.
- Vygotskij sostiene che il gioco è una "risposta originale ai bisogni non soddisfatti" e una "fase di transizione in cui le cose perdono il loro potere vincolante, cioè si distaccano dalla realtà; inoltre esso apre ad una "zona di sviluppo prossimale" in cui il bimbo si comporta sempre al di sopra del suo comportamento quotidiano.
- Per Piaget il gioco permette la costruzione di simboli (gioco simbolico), il confronto con una realtà immaginaria ed è governato dal "processo di assimilazione": un processo mentale attraverso il quale il bambino adatta e trasforma la realtà esterna in funzione delle proprie motivazioni/mondo interiore, consolida così capacità già acquisite attraverso la "ripetizione" e favorisce "empowerment".
Buona giornata a tutti
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